Stealing food if you are poor and hungry is not a crime, Italy’s highest court rules

Roman Ostriakov, un ucraino senza fissa dimora, fu sorpreso nel 2011 a rubare in un supermercato di Genova due pezzi di formaggio e una confezione di würstel (4,07 euro). Per il furto è stato condannato in primo grado a sei mesi di reclusione con la condizionale e a pagare una multa di 100 euro. Sentenza confermata in Appello. Ieri la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna «perché il fatto non costituisce reato». Per la Suprema Corte «non è punibile chi, spinto dal bisogno, ruba piccole quantità di cibo per far fronte alla imprescindibile esigenza di alimentarsi». A fare ricorso era stato il procuratore generale della Corte di appello di Genova che chiedeva uno sconto di pena con la derubricazione del reato da furto lieve in tentato furto.

La sua storia la racconta Goffredo Buccini sul Corriere: i giudici il 12 febbraio 2015 gli danno sei mesi di reclusione e cento euro di multa. Ma la pubblica accusa, ovvero il procuratore generale Antonio Lucisano, si rivolge alla Cassazione affinché la pena sia alleviata: non è stato un furto ma un tentato furto visto che l’uomo è stato bloccato prima che uscisse dal supermarket:

Maurizio Fumo, presidente della quinta penale, e Francesca Morelli, consigliere relatore, vanno ben oltre questa richiesta e annullano senza rinvio la condanna: «La condizione dell’imputato e le circostanze in cui è avvenuto l’impossessamento della merce dimostrano che egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte a un’immediata e imprenscindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità». Sentenza definitiva, storia chiusa. Dunque non siamo più di fronte ai carabinieri buoni che pagano di tasca loro lo scontrino del ladro affamato, sia esso un pensionato indigente o uno straniero disperato. E siamo anche oltre la sentenza che a Frosinone, due anni fa, mandò assolta una mamma che aveva rubato dieci euro di pollo per i suoi bambini: diverso, qui, è il li vello del giudizio.

Come nel dopoguerra neorealista, come in tutti i periodi bui, si torna ad arraffare ciò che si può, per tirare avanti. Confcommercio segnala il 20 per cento in più di furti per fame, le statistiche ci dicono che ogni giorno contiamo 615 nuovi poveri. Poiché il diritto non è altro che la scatola dove trova forma il nostro vivere assieme, era impensabile che la giurisprudenza non prendesse atto della realtà. E si plachi la stupida canea di chi accuserà di buonismo questa sentenza. Ogni anno, ciascuno di noi fortunati spreca 42 chili di cibo: per disattenzione, sazietà, noia. Se a qualcuno, prima di aprire la pattumiera, salterà in testa che esistono anche le vite degli altri, la vita di Roman sarà stata preziosa.

Per i giudici della Corte Suprema «la condizione dell’imputato e le circostanze» in cui è avvenuto il furto «dimostrano che egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata e imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità». E fin qui la decisione della Quinta sezione penale di Cassazione, presieduta da Maurizio Fumo, non sarebbe innovativa, poiché non è la prima volte che per giudicare chi ruba cibo per un valore irrisorio si applica l’articolo 54 del codice penale e si richiama per ciò lo «stato di necessità».

Ma è il passaggio in cui si annulla senza rinvio la decisione dei giudici di Corte d’appello a creare un precedente. La Corte suprema, infatti, con la sentenza numero 18248 precisa di ribaltare il pronunciamento genovese «perché il fatto non costituisce reato». Massimo Gramellini sulla Stampa commenta così:

Per i giudici supremi il diritto alla sopravvivenza prevale su quello di proprietà. In America sarebbe una bestemmia e anche qui qualche benpensante parlerà di legittimazione dell’esproprio proletario. In realtà la situazione è parecchio cambiata dagli Anni Settanta, quando a saccheggiare impunemente i supermercati in nome del proletariato erano i figli di papà, che infatti prelevavano caviale e champagne. Adesso non si ruba più per inseguire un’idea, ma per riempire lo stomaco. E a compiere gli espropri sono proletari veri. Veri e affamati. Anche in passato esisteva una quota di esclusi: sfortunati e balordi, disoccupati e inoccupabili. Ma grazie al benessere diffuso e a uno Stato materno e spendaccione, la società italiana riusciva a farsene carico. Non si era ancora sfaldata in tante solitudini, tenute a bada sempre più a fatica dalle associazioni di volontariato. La sentenza della Cassazione anticipa il reddito di cittadinanza e ricorda a tutti che in un Paese civile nemmeno il peggiore degli uomini può morire di fame.”

Roman Ostriakov: perché rubare per fame non è reato